Un nuovo anno scolastico sta per iniziare e, ancora una volta, siamo tutti chiamati a un impegno condiviso per dar vita a una comunità educante. Una collettività capace di rispondere alle richieste educative sia del nostro tempo sia del contesto territoriale in cui i giovani vivono. In poche parole: ‘fare scuola’.
Educare è sicuramente una sfida da affrontare con dedizione, coraggio, passione, responsabilità, entusiasmo. Lo stesso con cui ho assunto, solo un anno fa, l’incarico di Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia.
Una sfida che, a mio parere, è valsa la pena di accettare pur non sottovalutandone le difficoltà, ma prendendo coscienza degli importanti cambiamenti in corso nella società che ci chiedono di ridurre il divario culturale tra educatori e ragazzi, tra scuola e famiglia, tra scuola e istituzioni territoriali.
Educare significa far crescere, nutrire; azioni che ci riportano alle attività nelle quali ogni educatore mette a disposizione l’esperienza personale a favore delle proprie studentesse e dei propri studenti.
In questa prospettiva, ogni anno dobbiamo rinterrogarci per trovare le strategie ottimali rispetto al contesto in cui si opera.
Sappiamo bene che la nostra realtà storica è soggetta a un cambiamento endemico. Ciò richiede la nostra attenzione alle variabili che la connotano e, in particolare, agli effetti sui comportamenti dei giovani: alle loro reazioni, ai loro atteggiamenti verso la società, alle loro aspettative e, in particolare, all’immagine che hanno di sé stessi e del loro futuro. Ascoltarli è alla base del nostro compito educativo. Va riconosciuto che da tempo i docenti sono impegnati nel promuovere la crescita culturale e sociale dei giovani, favorendo in loro lo sviluppo del pensiero critico che li rende consapevoli e responsabili del loro agire e che li accompagnerà anche quando il percorso di studi sarà concluso. Una scuola che funga da ascensore sociale, aperta e inclusiva è una scuola attiva e attenta soprattutto ai segnali nei contesti sociali più complessi e difficili. Per questo motivo dobbiamo rafforzare il patto educativo scuola – famiglia, che è la base dell’apprendimento, come ben sappiamo. Un patto che apre a una visione di corresponsabilità e co-costruzione del sapere e anche della condotta e degli atteggiamenti dei nostri ragazzi nei rapporti con l’ambiente e con le persone, adulti e coetanei, con le quali interagiscono. I giovani vivono in un mondo, per così dire, digitalizzato che non possiamo ignorare. Questo non vuol dire arrendersi alla forza d’urto della tecnologia o, di contro, combatterla! Ed è qui che si configurano i termini della sfida di cui ho detto prima. Bisogna costantemente aggiornare il modello didattico affinché si possa coniugare l’innovazione tecnologica e l’ideale pedagogico di un’educazione al pensiero critico. In sintesi, la sfida consiste nell’educare all’uso della tecnologia perché sia intesa come mezzo e non come fine e la si utilizzi, pertanto, con consapevolezza dei suoi effetti e con responsabilità dei danni che, potenzialmente, può provocare. È vero, non è semplice. Nella società digitalizzata è alto il rischio che la frattura generazionale, un tempo fisiologica, si trasformi in patologica con conseguenze disastrose per l’armonia sociale. Il solco che allontana i giovani dagli adulti è scavato da un’incomprensione sempre più preoccupante, dalla diversità degli orizzonti culturali entro i quali i comportamenti, i valori e le idee divergono profondamente. Proprio per questo il rapporto familiare non può e non deve limitarsi all’affetto, ma deve essere alimentato dalla condivisione per aiutare i giovani a trovare la loro strada. Il supporto che possiamo dare loro, in questo tratto di strada scolastica che stanno percorrendo, è quello di creare una solida collaborazione tra famiglie e docenti, tra genitori e scuola. È solo nel lavoro comune che si realizza l’ideale della società educante dove i giovani possano vivere in un ambiente ottimale per il loro sviluppo. Difficile non iniziare questo anno scolastico senza invitare noi tutti a porre attenzione ai fenomeni giovanili delittuosi che stanno riempendo le pagine dei media. Dobbiamo sviluppare insieme strategie efficaci per cogliere i segnali di rischi potenziali in modo da intervenire a livello di prevenzione. A riguardo ritengo prezioso il contributo dell’eminente professore Karl R. Popper, un filosofo che nel secolo scorso ha illuminato il sentiero da percorrere per l’affermazione della libertà su cui solamente si fonda la democrazia. Ho estratto un passo sul quale mi piacerebbe riflettere con tutti voi: “… ogni studente è fallibile, come lo sono persino i professori più autorevoli: tutti sono destinati a commettere errori, anche i pensatori più illustri. Per quanto questa considerazione ci incoraggi a non prendere i nostri sbagli troppo sul serio, dobbiamo resistere alla tentazione di considerarli con indulgenza: stabilire standard elevati per la valutazione del nostro lavoro e alzare costantemente tali standard lavorando intensamente, sono due azioni entrambe indispensabili”.Con piena fiducia nei frutti del vostro impegno nel “fare scuola”, auguro buon lavoro a studentesse e studenti, a famiglie, a dirigenti scolastici, ai docenti e al personale ATA, alle Organizzazioni sindacali e agli interlocutori delle differenti realtà istituzionali che operano a fianco delle scuole.
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